Il ricordo alle vittime della Strage di Capaci, l’attentato di stampo mafioso in cui persero la vita il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Laura Morvillo e i tre poliziotti della scorta, Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro.
Ore 17 e 56 minuti e 32 secondi del 23 Maggio 1992. Una carica di 572 chili di tritolo, posizionata in una galleria scavata sotto la strada, esplode al chilometro 5 della A29, nei pressi dello svincolo di Capaci-Isola delle Femmine. Ad azionare l’ordigno è Giovanni Brusca, sicario di Cosa Nostra, soprannominato U Verru (il porco), o lo Scannacristiani, per la ferocia e l’efferatezza dei suoi delitti. Un attentato sanguinoso, passato alla storia come la Strage di Capaci, nel quale hanno perso la vita il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Laura Morvillo e tre poliziotti in servizio: Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani. Questi ultimi tutti appartenenti alla scorta personale del giudice.
«Ho ucciso Giovanni Falcone. Ma non era la prima volta: avevo già adoperato l’auto bomba per uccidere il giudice Rocco Chinnici e gli uomini della sua scorta. Sono responsabile del sequestro e della morte del piccolo Giuseppe Di Matteo, che aveva tredici anni quando fu rapito e quindici quando fu ammazzato. Ho commesso e ordinato personalmente oltre centocinquanta delitti. Ancora oggi non riesco a ricordare tutti, uno per uno, i nomi di quelli che ho ucciso. Molti più di cento, di sicuro meno di duecento.»
(Giovanni Brusca, dichiarazione tratta dal libro Ho ucciso Giovanni Falcone, di Saverio Lodato, Mondadori)
L’attentato del 23 Maggio 1992
I fatti accaduti quel fatidico 23 Maggio 1992 sono tristemente noti a tutti: il giudice Giovanni Falcone rientrava a Palermo da Roma. Assieme a lui c’era la moglie Francesca. Atterrato all’aeroporto Punta Raisi di Palermo, il giudice veniva scortato verso casa da tre Fiat Croma blindate. Falcone decise di mettersi alla guida della Croma bianca. Assieme a lui nell’autovettura, la moglie che sedeva al suo fianco e l’autista giudiziario Giuseppe Costanza, seduto sul sedile posteriore. A precedere la macchina guidata da Falcone c’era una Croma marrone, in cui si trovavano i tre poliziotti della scorta. Più dietro, si trovava invece la terza Croma, di colore azzurro, con gli agenti Paolo Capuzzo, Gaspare Cervello e Angelo Corbo.
Le tre auto erano dirette verso l’abitazione del giudice a Palermo. Al chilometro 5 della A29, nei pressi dello svincolo di Capaci-Isola delle Femmine, Giovanni Brusca azionò la carica che travolse in pieno la prima Croma, quella con a bordo i tre agenti della scorta. La deflagrazione fu così forte che l’auto si schiantò violentemente su un pianoro coperto di ulivi. L’auto che si trovava dietro, quella guidata dal magistrato, impattava invece contro il muro di cemento e detriti causati dallo scoppio. I tre poliziotti della scorta, Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Di Cillo, morirono sul colpo. Giovanni Falcone perì durante il trasporto in ospedale, mentre la moglie spirò in ospedale alcune ore dopo. L’agente Giuseppe Costanza, che si trovava nella macchina con il giudice, rimase illeso; gli agenti della terza automobile rimasero invece feriti.
Vittime della Strage di Capaci: Antonio Montinaro
Antonio Montinaro (Calimera, 8 settembre 1962 – Capaci, 23 maggio 1992) era un Assistente della Polizia di Stato ed era a capo della scorta del giudice Giovanni Falcone. Cosciente dei rischi che correva ma, allo stesso tempo, dedito alla divisa che indossava con orgoglio, riferendosi al compito che gli era stato affidato, dichiarò:
«Chiunque fa questa attività ha la capacità di scegliere tra la paura e la vigliaccheria. La paura è qualche cosa che tutti abbiamo: chi ha paura sogna, chi ha paura ama, chi ha paura piange. È la vigliaccheria che non si capisce e non deve rientrare nell’ottica umana.»
Accanto alla passione per il suo lavoro e all’orgoglio di far parte della Polizia di Stato, Antonio Montinaro era un attento padre di famiglia (aveva due figli) e un marito amorevole. Aveva quasi 30 anni quando, il 23 Maggio 1992, perse la vita nella Strage di Capaci. Il poliziotto viaggiava nella prima delle tre auto blindate che riaccompagnavano il giudice Falcone a Palermo (la Croma marrone) e sedeva sul sedile anteriore del passeggero. Lo scoppio del tritolo investì in pieno proprio l’auto in cui si trovava Montinaro, tanto da essere sbalzata in un oliveto a più di dieci metri di distanza dall’autostrada. In seguito alla sua morte, la moglie, Tina Montinaro, è diventata promotrice dell’associazione vittime di mafia e da molti anni lavora per sensibilizzare i giovani italiani sulla necessità della lotta alla mafia, portando la testimonianza del sacrificio di suo marito.
Vittime della Strage di Capaci: Rocco Dicillo
Rocco Dicillo (Triggiano, 13 aprile 1962 – Capaci, 23 maggio 1992) era un Agente Scelto del Reparto Scorte e Tutela della Polizia di Stato. Orgoglioso di far parte della scorta di Giovanni Falcone, il 21 Giugno 1989 aveva contribuito a sventare un primo attentato di stampo mafioso ai danni del magistrato. Tre anni prima di Capaci, infatti, Dicillo scoprì una borsa di esplosivo posizionata sulla spiaggetta adiacente la villetta che Falcone era solito affittare assieme alla famiglia all’Addaura, in Sicilia. Dicillo aveva 30 anni quando, viaggiando sul sedile posteriore del passeggero della Fiat Croma marrone, è morto nella Strage di Capaci. Il giovane poliziotto si sarebbe dovuto sposare il 20 Luglio 1992.
Lo Stato ha onorato il sacrificio di Rocco Dicillo conferendogli la medaglia d’oro al valore civile con il riconoscimento concesso a favore dei suoi familiari dalla legge n.302/90 e dal Comitato di solidarietà per le vittime dei reati di tipo mafioso di cui alla legge n.512/99. La stessa onorificenza è stata riservata anche ad Antonio Montinaro e a Vito Schifani.
Vittime della Strage di Capaci: Vito Schifani
Vito Schifani (Palermo, 23 febbraio 1965 – Capaci, 23 maggio 1992) era un agente di Polizia italiano, in servizio come scorta del magistrato Falcone. Schifani guidava la prima delle tre auto che accompagnavano Falcone dall’aeroporto di Punta Raisi a Palermo. L’esplosione investì direttamente la sua auto, uccidendo sul colpo Schifani e gli altri due agenti della scorta. Vito Schifani aveva 27 anni ed era da poco diventato padre. Perdendo la vita nella Strage di Capaci, lasciò la moglie 22enne, Rosaria Costa, e un figlio di appena 4 mesi.
Le parole che Rosaria Costa pronunciò ai funerali di Stato celebrati per le cinque vittime della Strage di Capaci, riecheggiarono dolorose in quella chiesa gremita ed ancora oggi vengono ricordate per la disperazione ma anche per la lucidità che ne traspariva:
«Io, Rosaria Costa, vedova dell’agente Vito Schifani mio, a nome di tutti coloro che hanno dato la vita per lo Stato, lo Stato…, chiedo innanzitutto che venga fatta giustizia, adesso.
Rivolgendomi agli uomini della mafia, perché ci sono qua dentro (e non), ma certamente non cristiani, sappiate che anche per voi c’è possibilità di perdono: io vi perdono, però vi dovete mettere in ginocchio, se avete il coraggio di cambiare…
Ma loro non cambiano… […] …loro non vogliono cambiare…
Vi chiediamo per la città di Palermo, Signore, che avete reso città di sangue, troppo sangue, di operare anche voi per la pace, la giustizia, la speranza e l’amore per tutti. Non c’è amore, non ce n’è amore…»
Nel 2007 all’agente di Polizia Vito Schifani è stato intitolato lo Stadio delle Palme di Palermo, in ricordo della sua natura di atleta e di specialista nei 400 metri.
La Giornata della Legalità a Palermo
In occasione del 32° anniversario della Strage di Capaci, a Palermo si è celebrata la Giornata della Legalità. Il capoluogo siciliano prosegue dunque quella rivolta culturale iniziata proprio nel 1992 e lo fa attraverso molte iniziative di legalità alle quali prendono parte anche il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e il capo della Polizia Vittorio Pisani. Clicca qui per maggiori informazioni sulla Giornata della Legalità.
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